giovedì 31 marzo 2016

La pittura a fresco detta affresco


La pittura a fresco, comunemente conosciuta come affresco, viene chiamata così perché si esegue su un intonaco fresco, cioè appena steso e quindi saturo d'acqua. 
Il colore viene completamente inglobato, nell'intonaco che asciugando, si combina con l'anidride carbonica dell'aria e forma il carbonato di calcio, acquistando, particolare resistenza all'acqua e al tempo.
La tecnica pittorica dell’affresco rientra nella categoria della pittura parietale ed è nota per essere tra le più antiche, difficoltose e durature. Spesso il termine 'affresco' è utilizzato impropriamente per intendere qualsiasi tipologia di dipinto parietale come il dipinto a calce, detto anche mezzo-fresco o falso fresco.


Condizione necessaria è, la presenza di anidride carbonica, quindi di aria. Per tale motivo le calci che rispondono a questo principio sono dette aeree. Poiché il processo avviene piuttosto velocemente sulla superficie esposta, per poi proseguire lentamente in profondità (la velocità di penetrazione diminuisce nel tempo in relazione alla concentrazione di CO2, dei valori di umidità relativa e temperatura), i pittori hanno messo in atto vari espedienti per migliorare il risultato finale - comprimere la superficie dell’intonaco messo in opera per far risalire in superficie l’acqua di calce, per la sola durata della stesura pittorica –.

Nella pittura a calce, a differenza dell’affresco, si fa un uso “tradizionale” del legante.
Le pitture parietali possono essere eseguite su superfici completamente asciutte o quando il processo di carbonatazione è già in atto. I pigmenti sono, dunque, preventivamente stemperati in latte o acqua di calce e applicati sull’intonaco.

A un primo sguardo le due tecniche possono essere facilmente confuse per l’aspetto del tutto simile, ma internamente nascondono delle differenze morfologiche facilmente intuibili: nell’affresco, infatti, le particelle di pigmento devono penetrare nella preparazione e il risultato non può che essere la formazione di uno strato pittorico estremamente sottile e “fuso” con l’intonaco sottostante; nella pittura a calce ciò non accade in quanto le stesure pittoriche sono “sovrapposte” alla preparazione ormai inerte e ciò giustifica generalmente spessori maggiori dello strato pittorico. C’è da dire che sono pochi i manufatti eseguiti in toto ad affresco, infatti, il dipinto affrescato veniva ultimato con rifiniture a secco, usando soprattutto calce e tempera.

Nelle pitture murali di matrice bizantina ci si scontra in genere con questa realtà: ampie campiture cromatiche di fondo venivano stese ad affresco ma il resto dell’opera – tratti dei volti, lumeggiature, ombre, dettagli decorativi – era realizzato soprattutto a calce.



Preparazione del supporto
La preparazione del supporto murario ha stratigrafia e composizione costituita da tre tipi principali di stesure: rinzaffo; arriccio e intonachino (talvolta chiamato tonachino).
 Il rinzaffo è una malta grossolana (spessore 5 mm) stesa direttamente sulla parete rocciosa o di mattoni. Il suo ruolo è soprattutto quello di livellare il supporto murario, preparandolo alla posa degli strati d'intonaco successivi. La malta con la quale è realizzato il rinzaffo, si compone di solito da tre parti di carica inerte – sabbia di fiume o pozzolana poco setacciati – e una parte di calce spenta.
 La sabbia deve essere di fiume poiché priva dei cloruri presenti nelle sabbie marine e lagunari. Un altro di inerte di cui si è fatto uso, soprattutto in epoca romana, è stato la pozzolana, contenente in gran parte, biossido di silicio e ossido di alluminio. 

Il secondo strato, l’arriccio, è anch’esso composto da inerte e calce spenta, ma con proporzioni variabili da 3:1 a 2:1. Sua peculiarità è una compattezza maggiore, resa possibile dalla media granulometria dell’inerte (0,50-2 mm).

Una volta consolidato l’arriccio si stende l’ultimo strato preparatorio: l’intonachino, una malta di sabbia fine o polvere di marmo.

 Lo spessore dello strato d’intonachino è nettamente inferiore rispetto ai precedenti e la sua superficie è trattata in modo da essere più levigata e compatta possibile, riducendo al minimo le asperità.
 Nell’affresco, come detto, l'esecuzione del dipinto avviene sull’intonachino ancora fresco, dunque la posa deve proseguire per gradi. Le due modalità di messa in opera riscontrate nella storia sono dette a pontate e a giornate.
La tecnica a pontate, la più diffusa fino al basso Medioevo, prevede l’applicazione dell’intonaco per fasce orizzontali, dall’alto verso il basso, seguendo l’andamento dei piani del ponteggio.
 La tecnica a giornate, diversamente, impone la stesura dell’intonaco secondo aree di dimensione e forma variabili, dettate principalmente dalla composizione pittorica che si andrà a eseguire. L’identificazione delle tracce di raccordo tra "giornate" o "pontate" in alcuni casi è un utile criterio per poter distinguere la tecnica dell’affresco dalla pittura a calce.

Il numero di stesure della preparazione, tra rinzaffo, arriccio e intonachino, ha subito nel corso dei secoli diverse variazioni. In epoca romana, ad esempio, la preparazione era costituita generalmente da numerose stesure sovrapposte, fino a raggiungere uno spessore complessivo di 8-12 cm, mentre in età paleocristiana e altomedievale gli strati preparatori cominciano a ridursi sia in numero, sia in spessore.



                                             Bozzetto per l'affresco "LA Battaglia di Cascina"


Disegno preparatorio

La più importante produzione di veri disegni preparatori inizia dal XIV secolo. In questo periodo, infatti, s’introduce la sinopia, un disegno preparatorio eseguito sull’arriccio e così chiamato perché tradizionalmente tracciato con terra di Sinope, un pigmento minerale rosso a base di ossidi di ferro anidri, proveniente dalla provincia di Sinop. Caratteristica della sinopia è di rappresentare l’intera composizione, a volte anche nei minimi dettagli, in modo da fornire un’idea di quello che sarà il risultato finale. Le modalità di esecuzione di questo possono essere suddivise in due categorie: diretto e indiretto.


                                         Raffaello " Trionfo di Galatea" villa Farnesina



Il disegno diretto contempla tecniche come l’incisione e il disegno eseguiti direttamente sull’intonachino fresco. Il disegno indiretto, più diffuso per le grandi opere e solo a partire dal Rinascimento, si avvale dell’uso dei cosiddetti 'cartoni', cioè modelli della composizione in scala 1:1. Avvalendosi dei cartoni l’esecutore dell’opera potrà concretizzare il disegno preparatorio mediante lo spolvero e incisione indiretta.

Lo spolvero è ottenuto picchiettando un sacchetto di garza riempito con del pigmento rosso o nero, sopra il cartone in cui sono stati praticati dei fori che seguono i contorni delle figure. Tale tecnica, qualora utilizzata, è facilmente riconoscibile poiché i puntini rilasciati dallo spolvero sono visibili anche a opera terminata.

Con l’incisione indiretta si ricalcano, per mezzo di una punta rigida, i profili e le linee precedentemente disegnati sul cartone e in questo modo sull’intonaco si potranno distinguere dei solchi dal bordo smussato.

In epoche precedenti il disegno preparatorio si limitava a qualche traccia eseguita a pennello sulla malta ancora fresca o già carbonatata. Questo modo di operare, frequente nella cultura bizantina, era dettato dallo stesso stile pittorico: la composizione era, infatti, relativamente semplice.


Pigmenti

La gamma cromatica dell’affresco e nel mezzo-fresco risulta essere abbastanza limitata a causa della basicità della calce a cui non tutti i pigmenti sono chimicamente stabili.
 Tra i più noti pigmenti esclusi dalle tecniche che implicano l’uso della calce vi è l’azzurrite, ottenuto per macinazione dall’omonimo minerale. L’azzurrite è nota per la sua tendenza a trasformarsi, in ambiente umido, in malachite, minerale di colore verde.
 I pigmenti impiegabili ad affresco e a calce sono per lo più quelli appartenenti alla categorie delle terre naturali cioè silicatiossidi e idrossidi di alcuni metalli di transizione come ferro (terra d’ombra, terra di Siena, ocra rossa, ocra gialla, terra verde), alluminio (ossidi di alluminio sono contenuti nella già citata terra verde e nel bruno di Cassel) e manganese (terra di Siena, terra d’ombra, bruno di Cassel).





La maggior parte dei pigmenti usati nell’affresco è di origine minerale, ciò nonostante si è riscontrato l’uso di alcuni composti coloranti che presentano sostanze di natura organica: tra questi i più conosciuti sono il nero vite, il bruno di Cassel e l’indaco.

Le foto degli affreschi sono particolari della Cappella Sistina eseguita da Michelangelo Buonarroti  dal  1508 al 1512.


Caterina Guttuso

martedì 15 marzo 2016

Pittura a tempera

Botticelli - Nascita di Venere
Per tempera si intende la tecnica pittorica che utilizza l'acqua per sciogliere i pigmenti composti da resine vegetali (terre naturali, pietre macerate) ed impiega varie sostanze come la colla di pesce, l'albume d'uovo, la gomma arabica o il lattice di fico per agglutinare, cioè per fare aderire il colore al supporto. La superficie destinata a ricevere lo strato pittorico può essere carta, tela, pietra o legno.
Le pitture a tempera più antiche di cui abbiamo traccia in Italia, sono quelle risalenti alle decorazioni delle tombe etrusche. Sappiamo che in Grecia la tempera fu usata, come fu usata la tecnica dell'encausto (pigmenti mescolati a caldo con la cera). Alcune pitture parietali pompeiane dimostrano come anche i romani conoscessero la tempera. 

Già attorno al XI sec. d.C., la tecnica della tempera era applicata sulle illustrazione degli antichi manoscritti medievali che erano costituiti da fogli di pergamena o di pellame per cui l'emulsione a tempera ben si prestava ad un supporto che conteneva di per sé oli animali. La mescolanza di oro in foglie e tempera caratteristica dei codici minati, divenne caratteristica anche della pittura medievale su pannello. 
Tempera su carta del XVII secolo
Danae - G. Klimt
Prima della stesura dei colori sulla tavola l'artista applicava un fondo in oro, per realizzare il quale si serviva di una lamina d'oro battuta dai battiloro tra due strati di pelle. Come coesivo tra l'imprimitura e la lamina si serviva del bolo, cioè di una terra argillosa, untuosa e rossiccia, che veniva stemperata in acqua e chiara d'uovo preparata a neve. Sulla superficie inumidita del dipinto, il pittore stendeva quindi tre o quattro passate di bolo di diversa densità: servendosi poi di carta per sostegno, posava l'oro sul bolo preparato con acqua e chiara d'uovo, cercando di farlo aderire perfettamente alla superficie; un secondo periodo, compreso fra il Trecento ed il primo Quattrocento, in cui l'uso del colore avveniva per graduato accostamento, e non per aggiunzione; un terzo periodo corrispondente alla seconda metà del Quattrocento, che vede le figure e gli oggetti rappresentati nei dipinti con molta minuzia. 
La tempera ebbe il suo periodo di massimo splendore nel Rinascimento, anche se la pittura a tempera dei pittori del ‘400 non è generalmente ad uovo puro. Infatti era già in uso un sistema di pittura, definito ad emulsione, dove all'uovo venivano aggiunti oli, essenze e vernici. In questo senso si potrebbe affermare che non fu Van Eych a introdurre in senso assoluto la pittura ad olio in Europa.                                                                                           Lentamente, la tecnica della tempera che aveva caratterizzato la pittura italiana del Rinascimento venne soppiantata dalla cosiddetta pittura ad olio, anche se molti quadri della fine del '400, classificati nei musei come pitture ad olio, siano in effetti delle emulsioni a base d'uovo, rifinite con velature a vernice ed olio. La tempera nei secoli successivi al Rinascimento fu spesso adoperata come base per le pitture ad olio. Si abbozzavano i dipinti che poi si ultimavano a olio. L'uso della tempera decadde solo parzialmente con la comparsa della tecnica a olio: la tempera verrà infatti impiegata persino in opere tardo barocche di grandi dimensioni.                              

Oggi i colori a tempera si trovano in vendita in tubetti o vasetti già pronti per l'uso, ma un tempo occorreva acquistare i pigmenti in polvere ed impastarli con collanti appositi. Per fare una buona tempera, simile a quella antica bisogna aggiungere al pigmento un tuorlo d’uovo, gr. 30 di gomma arabica in polvere, 2/3 di un bicchiere d’acqua, per la conservazione aggiungere un cucchiaio di alcool o aceto bianco. Per rendere la tempera più cristallina si aggiunge dello zucchero.  Occorre tenere presente che subiscono un notevole cambiamento di tonalità dal momento in cui vengono stesi a quello in cui sono asciutti.  Poiché si asciuga molto rapidamente, la tempera andrebbe stesa inizialmente in strati sottili lasciando il colore piuttosto acquoso.  Lo stile della pennellata è molto personale: dai tratteggi, alle punteggiature, alle pennellate.


La tecnica di esecuzione consiste solitamente nell’eseguire un abbozzo dell’opera con pennellate sottili e colori quasi trasparenti; quindi si determinano i dettagli procedendo colore per colore e lavorando strato su strato. 
 Una seconda maniera prevede l'uso del colore per graduato accostamento piuttosto che per stratificazione. 
Fra gli strumenti indispensabili ci sono i pennelli, che possono essere rotondi o piatti, a setole lunghe o corte, di setola sintetica o di martora, di pelo di bue o di setola di maiale. Le misure variano dal numero 0 al numero 12, vale a dire dal più piccolo (adatto per lavori di precisione) al più grande, utilizzato per dare campiture più o meno vaste di colore. In linea di massima per stendere il colore di fondo si usano pennelli piatti a setola dura. 
Per eseguire una velatura, è meglio inumidire prima la superficie, in modo da far scorrere il colore con scioltezza e senza striature. Le superfici a tempera non si scuriscono col tempo come avviene per gli oli, sebbene l'emulsione olio-uovo lo fa.

Destrina (colla)
Un classico Medio per tempera è composto dalla destrina sciolta in acqua; diluisce i colori a tempera e ne migliora l'adesione sulle superfici troppo assorbenti. Asciuga in poche ore e previene le screpolature. Aumenta la lucentezza e diminuisce il potere coprente.
I dipinti vengono protetti con la vernice lucida od opaca per tempera che asciuga in poche ore e non provoca cambiamenti di colore, ed è composta da resine sintetiche incolori, acquaragia. Rende l'opera resistente all'umidità e dona trasparenza agli strati opachi rendendo i colori più profondi. 
 Il Fiele di bue, sostanza sintetica sciolta in acqua, sgrassa i supporti per evitare formazione di macchie. Può essere utilizzato puro per uniformare la superficie del supporto ed impedisce che il supporto trasudi colore. Consente un'adesione migliore su supporti impermeabili. 
Per diluire i colori a tempera rendendoli più trasparenti e più elastici si usa la gomma arabica. Che inoltre previene le screpolature.
                                                                                  
Caterina Guttuso


martedì 1 marzo 2016

Acquerello

L' ACQUERELLO  

Il termine “acquerello” compare nel Settecento, ma fin dall’antichità, nei papiri per esempio, sono state utilizzate tecniche basate sullo stesso principio. Nel Medioevo venivano utilizzati pigmenti uniti a chiara d’uovo o gomma arabica soprattutto nelle miniature.
La carta ha svolto un ruolo importante nello sviluppo dell’acquerello.
 La Cina ha prodotto carta fin dai tempi antichi. Gli arabi hanno appreso i loro segreti nel corso dell’ottavo secolo. La carta è stata importata in Europa fino a quando non sono stati istituiti i primi mulini di fabbricazione della carta in Italia nel 1276.
Dal momento che la carta era considerata un bene di lusso, la tradizionale pittura ad acquerello occidentale è stata di lenta evoluzione. La maggiore disponibilità di carta dal XIV secolo ha consentito la possibilità del disegno come attività artistica. Così artisti come Leonardo da Vinci e Michelangelo hanno cominciato a sviluppare disegni come uno strumento di pratica e di registrazione delle informazioni. 

Albrecht Durer (tedesco, 1471-1528) è tradizionalmente considerato il primo maestro di acquerello perché le sue opere sono state come studio preliminare per altre opere. Nei secoli successivi molti artisti di come Peter Paul Rubens (fiammingo, 1577-1640), Anthony van Dyck (fiammingo, 1599-1641) e Jean Honore Fragonard (francese, 1732-1806) hanno continuato ad utilizzare acquerello come mezzo di disegno e di sviluppo di composizioni. La prima scuola nazionale di acquerellisti è sorta in Gran Bretagna. La tradizione è iniziata con disegni topografici ad acquerello che proliferavano nel tardo Seicento e primo Settecento. Questi rendering comprendevano l’identità visiva dei porti di mare così come il paesaggio circostante. 


                                                                                                                                                                                                                                                             Albret Durer

Nel 1768, la topografia influente fondò la Royal Academy che ha incoraggiato gli acquarellisti a sviluppare le applicazioni della tecnica. L'acquerellista di maggior  talento di questo periodo è stato Joseph MW Turner (inglese, 1775-1851). I suoi paesaggi contemplativi hanno influenzato enormemente decine di artisti nei decenni successivi.
 Lo sviluppo della tecnica dell’acquerello è andata di pari passo all'evoluzione ed al progresso della scuola britannica degli acquerellisti. Nel 1780, una società britannica ha iniziato la produzione di carta realizzata appositamente per acquarellisti trattata con particolari tecniche per evitare, con i lavaggi, di sprofondare nelle fibre della carta.
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Passaggi di tonalità 

Nell’acquerello la pennellata richiede una buona scioltezza della mano e deve essere determinata e precisa poiché i colori si asciugano rapidamente e tendono a mescolarsi tra loro creando effetti che, se non voluti, sono difficilmente correggibili. Non è possibile infatti effettuare correzioni con sovrapposizione del colore come per altre tecniche. Essa è una tecnica pittorica che prevede l’uso di pigmenti finemente macinati e mescolati con legante, di solito la gomma arabica e poi diluiti. Più acqua si usa più la carta influisce sui colori: il vermiglio, un rosso caldo, si trasforma gradualmente in un rosa fresco quanto più è diluito con acqua


Sovrapposizione di pigmenti


 Il supporto più usato per questa tecnica è la carta di 300g. quella con un’alta percentuale di cotone puro, oppure quella con gelatina naturale, in quanto questo materiale non si deforma eccessivamente al contatto con l’acqua, ma si può usare anche il cartone, la pergamena, la seta e addirittura il legno.
Carta di diversa grammatura

Normalmente il foglio viene preparato con un leggero disegno a matita. In seguito possono essere applicate tre tecniche fondamentali per eseguire un acquerello:
1. Velature sovrapposte: macchie di colore vengono via via sovrapposte le une alle altre in modo da ottenere profondità pittorica e per poter rappresentare la luce e le ombre.


2. Bagnato su bagnato: il colore viene steso sul foglio di carta bagnato in precedenza in modo che i colori si diffondano nel supporto.

3. Bagnato su asciutto: il colore viene steso sul foglio asciutto dopo essere stato disciolto nell’acqua.

Esistono inoltre alcune varianti alle tre tecniche principali come il Dry brush (pennello secco), il Lifting off (cancellatura) o il Dropping in color (sgocciolamento).



Panetti e tubetti di colori per acquerello
Pennelli morbidi e tondi per acquerellare

I particolari in bianco di un acquerello si possono ottenere adoperando il medium per mascheratura permanente, una cera liquida non asportabile, idrorepellente, studiata per mascherare aree specifiche del foglio, rendendole resistenti a l’acqua. Una volta asciutta, respinge i colori passati sulla zona trattata. Ottimo per lavori di dettaglio. Si applica il medium direttamente sulla carta e si lascia asciugare completamente prima di applicare mani successive.
                                                                                                               Caterina Guttuso