martedì 31 maggio 2016

La magia della pittura su seta



La seta, oltre ad avere alle spalle una storia millenaria (i cinesi la conoscevano già nel 4000 a.C.), si presenta come un supporto durevole.

quadri cinesi intorno al 1700

Secondo la leggenda, un giorno la regina Se-ling-schi, seduta nel suo giardino, trovò un baco da seta nella sua tazza da the. Mentre cercava di tirarlo fuori scoprì il filo di seta. Da allora in poi la tecnica di produzione della seta è stata tenuta segreta in Cina a lungo.
La pittura su seta è un’arte nata proprio in Cina, per la scrittura pittorica e per i primi quadri che si presentavano sotto forma di rotoli.

In Europa la seta è arrivata invece molto tardi. Solo intorno al 1700 i francesi hanno importato dal Giappone i primi ventagli di pura seta usati dalle donne giapponesi che in breve divennero un articolo della moda parigina.
Il nuovo materiale non tardò ad essere utilizzato dai pittori francesi.


La seta si può presentare sotto le forme più diverse: dalla seta grezza, che appare molto simile alla yuta - ma molto più morbida - alla seta lucida e vellutata fino alla seta leggerissima e trasparente. Può presentarsi al naturale, cioè color écru, può essere bianca o colorata. 
La seta ideale da utilizzare è sicuramente la seta bianca, di media pesantezza e con una superficie non particolarmente “pettinata”, cioè liscia, perché è quella su cui il colore ha la resa migliore. Le sete con base colorata possono essere decorate solo con colori molto scuri, che comunque appaiono tutti un po’ uniformi: in questo caso vi consigliamo di utilizzare il nero o il blu scuro.


I colori per seta, a differenza degli altri colori per stoffa, sono molto liquidi ma non trasparenti; anzi il colore risulta molto intenso e brillante anche con una sola stesura. I colori sono miscelabili tra di loro ed è facilissimo creare straordinarie sfumature di tono. Sono diluibili in acqua, ma occorre fare molta attenzione a non schiarire troppo le tinte che, perdendo consistenza e intensità, possono creare chiazze troppo sbiadite. Questi colori si fissano molto facilmente, stirando il tessuto dal rovescio con un risultato di tipo professionale. Vi sono poi altre tinte che per essere fissate al tessuto necessitano di un fissaggio a vapore da effettuarsi in centri specializzati o in casa con una pentola a pressione. Questo tipo di fissaggio le rende ancora più resistenti ai lavaggi e alla luce. 

Altro elemento importante nella pittura su seta è la gutta una resina che si applica sul tessuto direttamente dal tubetto erogatore e che serve per delimitare le zone da colorare. Il colore per seta, infatti, è molto liquido e necessita di “barriere” per non spandersi in modo disordinato sul disegno. La gutta esiste in commercio trasparente o colorata: i colori a disposizione sono l’oro, l’argento e il piombo. La gutta colorata ha tempi di essiccazione più lunghi di quella trasparente, circa 36 ore. È inoltre possibile colorare la gutta trasparente con colori per ceramica a freddo, colori per vetro o inchiostri tipografici.  

I pennelli più adatti per la pittura su seta sono i pennelli sintetici rotondi con pelo lungo - che serve a trattenere molto colore - o, per le grandi superfici, pennelli piatti con le setole tagliate in sbieco per dipingere più velocemente. 
Il telaio: si acquista nei centri bricolage. Su di esso si fissa la seta che, per essere decorata, deve essere ben tesa. a tecnica è molto semplice: dopo aver riportato - o disegnato direttamente a mano libera - un motivo sulla seta occorre ripassarlo con la gutta in tutti i suoi particolari. Si creano così degli spazi delimitati dove verrà steso il colore. La resina asciuga piuttosto lentamente: occorrono 24 ore prima che sia pronta a fare da barriera al colore. Quando la gutta è asciutta si intinge il pennello direttamente nel barattolino di colore, quindi si appoggia la punta del pennello nello spazio che si intende colorare. Il colore si spande automaticamente: non occorre, pertanto, accompagnarlo pennellando. Si ferma quando incontra il limite rappresentato dalla resina. 
Mescolando il colore si ottengono magnifiche sfumature e, con pochissime prove, si può raggiungere facilmente una buona capacità esecutiva.

La tecnica del sale serve a creare effetti di chiaro scuro e si ottiene mettendo direttamente il sale sulla seta dopo avere steso il colore.





Caterina Guttuso







lunedì 16 maggio 2016

Le tecniche del mosaico


Il termine mosaico deriva probabilmente da “musae”. Le muse erano, secondo la mitologia greca, le protettrici delle arti. I mosaici possono impreziosire pareti, pavimenti e oggetti vari. Sono formati dall’accostamento di piccoli frammenti colorati di forma diversa “le tessere”, tenute insieme da un legante. I primi mosaici risalgono alla civiltà sumera tra il quarto e il terzo secolo a. C. presentano un accostamento ordinato di elementi naturali (pietre dure, semipreziose). I mosaici greci sono pavimentali, realizzati con ciottoli, di solito viene decorata la parte centrale della stanza.


Con i romani il mosaico conosce una grande fioritura, non sono più intesi come tappeti, ma fanno parte integrante dell’architettura e decorano gli edifici. Con il mosaico bizantino si attua quello ornamentale di pareti e volte, soprattutto negli edifici di culto. Nell’era moderna il mosaico è un mezzo espressivo dei grandi come Gaudì che lo ha inserito in molte delle sue opere architettoniche e la pittura di Klimt è sicuramente stata influenzata dai dai mosaici bizantini di Ravenna.

La composizione delle tessere varia secondo l’opera da realizzare, la natura ci offre diversi elementi: pietre naturali (lapislazzuli, agata, giada, onice e i quarzi), i marmi (rocce vulcaniche, rocce sedimentarie). Ma quelli più usati sono gli smalti in pasta di vetro, la gamma cromatica è estremamente ampia: si aggira intorno alle 5.000 tinte. I maestri vetrai veneziani, già nel trecento, avevano a disposizione questo vasto campionario. L’inclinazione delle tessere determina il modo in cui si rifrange la luce. Quindi con la giusta angolazione si ottengono interessanti giochi di luce.






Per tagliare le tessere occorre la martellina, un martello ricurvo di acciaio a doppio taglio e il tagliolo, una piccola scure, montata su un ceppo di legno. Per rifinire il taglio si usano le tenaglie. Il taglio delle tessere, secco e preciso, è uno dei momenti più importanti dell’intero lavoro: richiede una maestria che si acquisisce solo con tanta esperienza. 




La posa del mosaico può essere diretta o indiretta. Il metodo diretto consiste nel depositare, o come si dice tecnicamente “allettare” le tessere direttamente in loco, su un legante. In questo caso il disegno si trasferisce o con la tecnica della stampa o con la tecnica dello spolvero. Il metodo indiretto consente di accelerare i tempi di esecuzione poiché il mosaico è realizzato in laboratorio. Si esegue su una base di carta o di tessuto su cui è riprodotto il disegno, a lavoro ultimato l’opera si presenta con la parte posteriore a vista, sulla quale viene messo il legante. Si gira il mosaico, appoggiandolo sul supporto definitivo e infine si toglie la base provvisoria. 




                                                                             mosaico moderno



                                                                             mosaico bizantino

Esiste un metodo, a rivoltura o diretto su calce provvisoria, che è una sintesi dei due precedenti metodi, in quanto consente di ottenere i risultati tipici del metodo diretto, pur lavorando in studio. Data la sua particolarità, la tecnica permette di riprodurre copie di mosaici antichi.


Caterina Guttuso





giovedì 5 maggio 2016

La composizione e la luce di un quadro


Fin dall'antichità gli artisti hanno tenuto conto delle proporzioni geometriche delle loro composizioni. I pittori dell’antico Egitto dividevano le pareti su cui avrebbero dipinto in un reticolo di verticali e orizzontali, lungo le quali disponevano gli elementi della loro composizione in modo da ottenere un effetto armonioso. La “sezione aurea” è uno dei più importanti sistemi con i quali gli artisti hanno cercato di codificare le proporzioni. Essa è definita come quella linea divisa in modo tale che la parte minore sta alla parte maggiore come questa sta al tutto. In pratica funziona come un rapporto di circa 8:13 ed è sorprendente quanto spesso questa proporzione si presenti sia nell’arte che nella natura.

lunedì 11 aprile 2016

Dipingere a olio

Caravaggio
Oggi la pittura a olio rappresenta una parte importante della nostra esperienza visiva, è difficile ricordare che si tratta di una tecnica pittorica relativamente recente, anche se intorno al 1100 Teophilus Presbiter già scriveva l’uso
dell’olio come medium nella pittura.


Jan van Eyck
La tradizione vuole che l’inventore di questa tecnica sia il pittore fiammingo Jan van Eyck. A quell’epoca, i dipinti ad olio venivano realizzati in due fasi: la prima era un abbozzo monocromo, con lievi sfumature di grigio, su questo venivano applicati strati di vernice trasparente in cui il pigmento puro era mescolato con un medium oleoso traslucido e brillante, che lasciava trasparire l’abbozzo sottostante. Il colore era leggero sulle zone lumeggiate e più denso nelle zone d’ombra. Questa tecnica entrò nell’arte italiana grazie ai pittori veneziani. 


    A. Gentileschi

         
Il colore a olio veniva usato su legno, su parete, su tela e su pietra. Antonello da Messina prima e Giovanni Bellini dopo, seguito da Giorgione segnarono un importante sviluppo nella pittura a olio. Ma il grande passo avanti avvenne con Rubens, all’età di ventitré anni si reco in Italia studiando e copiando i grandi: Michelangelo, Tintoretto e Correggio.
                     
 Rembrandt
Mentre nell’età barocca possiamo considerare Rembrandt l’erede di Tiziano.
Rembrandt non ha lasciato schizzi né studi preparatori. Le sue composizioni, venivano abbozzate in monocromia, sulla quale il pittore applicava i successivi colori. Il ricco chiaro scuro nella pittura a olio indica l’equilibrio di luci e ombre come possiamo vedere nelle opere del Caravaggio. All’inizio del diciottesimo secolo i colori a olio erano venduti già pronti in vesciche di pelle, questo permise agli artisti di dipingere all’aperto. Le vesciche furono poi sostituite da cilindretti metallici. Le velature e gli strati di colore furono sostituite dal colore denso e coprente, applicato con pennello o spatola. Gli impressionisti alterarono la concezione pittorica, il loro interesse era per la luce e il colore. Il nostro secolo ha visto un proliferare di movimenti.


                                                                 S. Dalì

Salvador Dalì si è orientato verso un realismo fotografico, spesso ha lavorato con una lente da gioielliere, ha trattato il colore a olio con una raffinatezza tipica dell’arte fiamminga. Gli espressionisti hanno privilegiato la grandi tele come Jackson Pollock. Egli non adoperava pennelli ma posava le tele per terra e spandeva, gocciolava, spruzzava il colore. Questi sviluppi liberano la pittura da molti elementi di incertezza e di fatica, ma possono creare problemi, in particolare per i meno esperti o per chi non abbia frequentato una scuola d’arte. L’artista può imparare tutto su un medium attraverso lo studio e l’osservazione delle opere dei pittori di ogni epoca, ma soprattutto con gli esperimenti e l’esperienza.
Renoir
 Una delle caratteristiche del colore a olio è la possibilità di applicarlo sia in velature trasparenti, sia in sottili strati coprenti o impasto spesso.


ABBOZZO
 Deciso il supporto dove dipingere (tela, legno, cartone) si esegue l’abbozzo o pittura a colore spento, eseguito in monocromia. L’abbozzo consente di impostare il dipinto e di stabilire i valori tonali, può essere eseguito anche con più colori.

VELATURA
Una velatura è uno strato trasparente di colore applicato sul fondo, su un’altra velatura o sull’impasto. Per creare con le velature effetti interessanti l’artista deve costruire più strati, lasciando asciugare il colore fra l’uno e l’altro. Non occorre velare tutte le zone di un dipinto, altre zone possono rendere meglio se trattate “alla prima”.

SMORZATURA
La caratteristica di questo procedimento è che le zone sottostanti traspaiono in maniera irregolare. La smorzatura si può ottenere in diversi modi: applicando chiaro su scuro o scuro su chiaro, il colore, denso o leggermente fluido, può essere esteso con un pennello, con uno straccio o anche con le dita. Questa tecnica consente di creare interessanti combinazioni cromatiche.
                                                              

ALLA PRIMA
  Monet
Nella tecnica “alla prima” o diretta, il colore è applicato rapidamente in modo coprente e viene completato in un’unica seduta. Ogni chiazza di colore rimane più o meno immutata nel dipinto finito. La bellezza del metodo diretto sta nella freschezza del colore, il segno del pennello e della spatola è un altro importante elemento dell’effetto finale. L’artista deve prendere in considerazione contemporaneamente linea, tono, granitura, disegno e colore.

TONKING
Questa tecnica prende il nome dal suo ideatore Henry Tonks, consiste nel rimuovere dalla tela il colore eccedente posandovi sopra un foglio di carta strofinando delicatamente.

                                                              
Pollock
COLORI
I pigmenti si suddividono in tre gruppi base: terre, pigmenti inorganici e pigmenti organici. I pigmenti vengono dispersi in olio di semi di lino o in olio di cartamo, che è più pallido e asciuga più lentamente. Gli oli si essiccano per ossidazione e polimerizzano in forma solida. Allo stato liquido, gli oli sono solubili in solventi come la trementina, ma una volta asciutti sono insolubili. I colori hanno diversi tempi di essiccazione, quelli contenenti pigmenti di terra asciugano più rapidamente, mentre per il cremisi di alizarina possono occorrere fino a dieci giorni e l’essiccazione totale fino a un anno.
                                                                                                           

Caterina Guttuso


giovedì 31 marzo 2016

La pittura a fresco detta affresco


La pittura a fresco, comunemente conosciuta come affresco, viene chiamata così perché si esegue su un intonaco fresco, cioè appena steso e quindi saturo d'acqua. 
Il colore viene completamente inglobato, nell'intonaco che asciugando, si combina con l'anidride carbonica dell'aria e forma il carbonato di calcio, acquistando, particolare resistenza all'acqua e al tempo.
La tecnica pittorica dell’affresco rientra nella categoria della pittura parietale ed è nota per essere tra le più antiche, difficoltose e durature. Spesso il termine 'affresco' è utilizzato impropriamente per intendere qualsiasi tipologia di dipinto parietale come il dipinto a calce, detto anche mezzo-fresco o falso fresco.


Condizione necessaria è, la presenza di anidride carbonica, quindi di aria. Per tale motivo le calci che rispondono a questo principio sono dette aeree. Poiché il processo avviene piuttosto velocemente sulla superficie esposta, per poi proseguire lentamente in profondità (la velocità di penetrazione diminuisce nel tempo in relazione alla concentrazione di CO2, dei valori di umidità relativa e temperatura), i pittori hanno messo in atto vari espedienti per migliorare il risultato finale - comprimere la superficie dell’intonaco messo in opera per far risalire in superficie l’acqua di calce, per la sola durata della stesura pittorica –.

Nella pittura a calce, a differenza dell’affresco, si fa un uso “tradizionale” del legante.
Le pitture parietali possono essere eseguite su superfici completamente asciutte o quando il processo di carbonatazione è già in atto. I pigmenti sono, dunque, preventivamente stemperati in latte o acqua di calce e applicati sull’intonaco.

A un primo sguardo le due tecniche possono essere facilmente confuse per l’aspetto del tutto simile, ma internamente nascondono delle differenze morfologiche facilmente intuibili: nell’affresco, infatti, le particelle di pigmento devono penetrare nella preparazione e il risultato non può che essere la formazione di uno strato pittorico estremamente sottile e “fuso” con l’intonaco sottostante; nella pittura a calce ciò non accade in quanto le stesure pittoriche sono “sovrapposte” alla preparazione ormai inerte e ciò giustifica generalmente spessori maggiori dello strato pittorico. C’è da dire che sono pochi i manufatti eseguiti in toto ad affresco, infatti, il dipinto affrescato veniva ultimato con rifiniture a secco, usando soprattutto calce e tempera.

Nelle pitture murali di matrice bizantina ci si scontra in genere con questa realtà: ampie campiture cromatiche di fondo venivano stese ad affresco ma il resto dell’opera – tratti dei volti, lumeggiature, ombre, dettagli decorativi – era realizzato soprattutto a calce.



Preparazione del supporto
La preparazione del supporto murario ha stratigrafia e composizione costituita da tre tipi principali di stesure: rinzaffo; arriccio e intonachino (talvolta chiamato tonachino).
 Il rinzaffo è una malta grossolana (spessore 5 mm) stesa direttamente sulla parete rocciosa o di mattoni. Il suo ruolo è soprattutto quello di livellare il supporto murario, preparandolo alla posa degli strati d'intonaco successivi. La malta con la quale è realizzato il rinzaffo, si compone di solito da tre parti di carica inerte – sabbia di fiume o pozzolana poco setacciati – e una parte di calce spenta.
 La sabbia deve essere di fiume poiché priva dei cloruri presenti nelle sabbie marine e lagunari. Un altro di inerte di cui si è fatto uso, soprattutto in epoca romana, è stato la pozzolana, contenente in gran parte, biossido di silicio e ossido di alluminio. 

Il secondo strato, l’arriccio, è anch’esso composto da inerte e calce spenta, ma con proporzioni variabili da 3:1 a 2:1. Sua peculiarità è una compattezza maggiore, resa possibile dalla media granulometria dell’inerte (0,50-2 mm).

Una volta consolidato l’arriccio si stende l’ultimo strato preparatorio: l’intonachino, una malta di sabbia fine o polvere di marmo.

 Lo spessore dello strato d’intonachino è nettamente inferiore rispetto ai precedenti e la sua superficie è trattata in modo da essere più levigata e compatta possibile, riducendo al minimo le asperità.
 Nell’affresco, come detto, l'esecuzione del dipinto avviene sull’intonachino ancora fresco, dunque la posa deve proseguire per gradi. Le due modalità di messa in opera riscontrate nella storia sono dette a pontate e a giornate.
La tecnica a pontate, la più diffusa fino al basso Medioevo, prevede l’applicazione dell’intonaco per fasce orizzontali, dall’alto verso il basso, seguendo l’andamento dei piani del ponteggio.
 La tecnica a giornate, diversamente, impone la stesura dell’intonaco secondo aree di dimensione e forma variabili, dettate principalmente dalla composizione pittorica che si andrà a eseguire. L’identificazione delle tracce di raccordo tra "giornate" o "pontate" in alcuni casi è un utile criterio per poter distinguere la tecnica dell’affresco dalla pittura a calce.

Il numero di stesure della preparazione, tra rinzaffo, arriccio e intonachino, ha subito nel corso dei secoli diverse variazioni. In epoca romana, ad esempio, la preparazione era costituita generalmente da numerose stesure sovrapposte, fino a raggiungere uno spessore complessivo di 8-12 cm, mentre in età paleocristiana e altomedievale gli strati preparatori cominciano a ridursi sia in numero, sia in spessore.



                                             Bozzetto per l'affresco "LA Battaglia di Cascina"


Disegno preparatorio

La più importante produzione di veri disegni preparatori inizia dal XIV secolo. In questo periodo, infatti, s’introduce la sinopia, un disegno preparatorio eseguito sull’arriccio e così chiamato perché tradizionalmente tracciato con terra di Sinope, un pigmento minerale rosso a base di ossidi di ferro anidri, proveniente dalla provincia di Sinop. Caratteristica della sinopia è di rappresentare l’intera composizione, a volte anche nei minimi dettagli, in modo da fornire un’idea di quello che sarà il risultato finale. Le modalità di esecuzione di questo possono essere suddivise in due categorie: diretto e indiretto.


                                         Raffaello " Trionfo di Galatea" villa Farnesina



Il disegno diretto contempla tecniche come l’incisione e il disegno eseguiti direttamente sull’intonachino fresco. Il disegno indiretto, più diffuso per le grandi opere e solo a partire dal Rinascimento, si avvale dell’uso dei cosiddetti 'cartoni', cioè modelli della composizione in scala 1:1. Avvalendosi dei cartoni l’esecutore dell’opera potrà concretizzare il disegno preparatorio mediante lo spolvero e incisione indiretta.

Lo spolvero è ottenuto picchiettando un sacchetto di garza riempito con del pigmento rosso o nero, sopra il cartone in cui sono stati praticati dei fori che seguono i contorni delle figure. Tale tecnica, qualora utilizzata, è facilmente riconoscibile poiché i puntini rilasciati dallo spolvero sono visibili anche a opera terminata.

Con l’incisione indiretta si ricalcano, per mezzo di una punta rigida, i profili e le linee precedentemente disegnati sul cartone e in questo modo sull’intonaco si potranno distinguere dei solchi dal bordo smussato.

In epoche precedenti il disegno preparatorio si limitava a qualche traccia eseguita a pennello sulla malta ancora fresca o già carbonatata. Questo modo di operare, frequente nella cultura bizantina, era dettato dallo stesso stile pittorico: la composizione era, infatti, relativamente semplice.


Pigmenti

La gamma cromatica dell’affresco e nel mezzo-fresco risulta essere abbastanza limitata a causa della basicità della calce a cui non tutti i pigmenti sono chimicamente stabili.
 Tra i più noti pigmenti esclusi dalle tecniche che implicano l’uso della calce vi è l’azzurrite, ottenuto per macinazione dall’omonimo minerale. L’azzurrite è nota per la sua tendenza a trasformarsi, in ambiente umido, in malachite, minerale di colore verde.
 I pigmenti impiegabili ad affresco e a calce sono per lo più quelli appartenenti alla categorie delle terre naturali cioè silicatiossidi e idrossidi di alcuni metalli di transizione come ferro (terra d’ombra, terra di Siena, ocra rossa, ocra gialla, terra verde), alluminio (ossidi di alluminio sono contenuti nella già citata terra verde e nel bruno di Cassel) e manganese (terra di Siena, terra d’ombra, bruno di Cassel).





La maggior parte dei pigmenti usati nell’affresco è di origine minerale, ciò nonostante si è riscontrato l’uso di alcuni composti coloranti che presentano sostanze di natura organica: tra questi i più conosciuti sono il nero vite, il bruno di Cassel e l’indaco.

Le foto degli affreschi sono particolari della Cappella Sistina eseguita da Michelangelo Buonarroti  dal  1508 al 1512.


Caterina Guttuso

martedì 15 marzo 2016

Pittura a tempera

Botticelli - Nascita di Venere
Per tempera si intende la tecnica pittorica che utilizza l'acqua per sciogliere i pigmenti composti da resine vegetali (terre naturali, pietre macerate) ed impiega varie sostanze come la colla di pesce, l'albume d'uovo, la gomma arabica o il lattice di fico per agglutinare, cioè per fare aderire il colore al supporto. La superficie destinata a ricevere lo strato pittorico può essere carta, tela, pietra o legno.
Le pitture a tempera più antiche di cui abbiamo traccia in Italia, sono quelle risalenti alle decorazioni delle tombe etrusche. Sappiamo che in Grecia la tempera fu usata, come fu usata la tecnica dell'encausto (pigmenti mescolati a caldo con la cera). Alcune pitture parietali pompeiane dimostrano come anche i romani conoscessero la tempera. 

Già attorno al XI sec. d.C., la tecnica della tempera era applicata sulle illustrazione degli antichi manoscritti medievali che erano costituiti da fogli di pergamena o di pellame per cui l'emulsione a tempera ben si prestava ad un supporto che conteneva di per sé oli animali. La mescolanza di oro in foglie e tempera caratteristica dei codici minati, divenne caratteristica anche della pittura medievale su pannello. 
Tempera su carta del XVII secolo
Danae - G. Klimt
Prima della stesura dei colori sulla tavola l'artista applicava un fondo in oro, per realizzare il quale si serviva di una lamina d'oro battuta dai battiloro tra due strati di pelle. Come coesivo tra l'imprimitura e la lamina si serviva del bolo, cioè di una terra argillosa, untuosa e rossiccia, che veniva stemperata in acqua e chiara d'uovo preparata a neve. Sulla superficie inumidita del dipinto, il pittore stendeva quindi tre o quattro passate di bolo di diversa densità: servendosi poi di carta per sostegno, posava l'oro sul bolo preparato con acqua e chiara d'uovo, cercando di farlo aderire perfettamente alla superficie; un secondo periodo, compreso fra il Trecento ed il primo Quattrocento, in cui l'uso del colore avveniva per graduato accostamento, e non per aggiunzione; un terzo periodo corrispondente alla seconda metà del Quattrocento, che vede le figure e gli oggetti rappresentati nei dipinti con molta minuzia. 
La tempera ebbe il suo periodo di massimo splendore nel Rinascimento, anche se la pittura a tempera dei pittori del ‘400 non è generalmente ad uovo puro. Infatti era già in uso un sistema di pittura, definito ad emulsione, dove all'uovo venivano aggiunti oli, essenze e vernici. In questo senso si potrebbe affermare che non fu Van Eych a introdurre in senso assoluto la pittura ad olio in Europa.                                                                                           Lentamente, la tecnica della tempera che aveva caratterizzato la pittura italiana del Rinascimento venne soppiantata dalla cosiddetta pittura ad olio, anche se molti quadri della fine del '400, classificati nei musei come pitture ad olio, siano in effetti delle emulsioni a base d'uovo, rifinite con velature a vernice ed olio. La tempera nei secoli successivi al Rinascimento fu spesso adoperata come base per le pitture ad olio. Si abbozzavano i dipinti che poi si ultimavano a olio. L'uso della tempera decadde solo parzialmente con la comparsa della tecnica a olio: la tempera verrà infatti impiegata persino in opere tardo barocche di grandi dimensioni.                              

Oggi i colori a tempera si trovano in vendita in tubetti o vasetti già pronti per l'uso, ma un tempo occorreva acquistare i pigmenti in polvere ed impastarli con collanti appositi. Per fare una buona tempera, simile a quella antica bisogna aggiungere al pigmento un tuorlo d’uovo, gr. 30 di gomma arabica in polvere, 2/3 di un bicchiere d’acqua, per la conservazione aggiungere un cucchiaio di alcool o aceto bianco. Per rendere la tempera più cristallina si aggiunge dello zucchero.  Occorre tenere presente che subiscono un notevole cambiamento di tonalità dal momento in cui vengono stesi a quello in cui sono asciutti.  Poiché si asciuga molto rapidamente, la tempera andrebbe stesa inizialmente in strati sottili lasciando il colore piuttosto acquoso.  Lo stile della pennellata è molto personale: dai tratteggi, alle punteggiature, alle pennellate.


La tecnica di esecuzione consiste solitamente nell’eseguire un abbozzo dell’opera con pennellate sottili e colori quasi trasparenti; quindi si determinano i dettagli procedendo colore per colore e lavorando strato su strato. 
 Una seconda maniera prevede l'uso del colore per graduato accostamento piuttosto che per stratificazione. 
Fra gli strumenti indispensabili ci sono i pennelli, che possono essere rotondi o piatti, a setole lunghe o corte, di setola sintetica o di martora, di pelo di bue o di setola di maiale. Le misure variano dal numero 0 al numero 12, vale a dire dal più piccolo (adatto per lavori di precisione) al più grande, utilizzato per dare campiture più o meno vaste di colore. In linea di massima per stendere il colore di fondo si usano pennelli piatti a setola dura. 
Per eseguire una velatura, è meglio inumidire prima la superficie, in modo da far scorrere il colore con scioltezza e senza striature. Le superfici a tempera non si scuriscono col tempo come avviene per gli oli, sebbene l'emulsione olio-uovo lo fa.

Destrina (colla)
Un classico Medio per tempera è composto dalla destrina sciolta in acqua; diluisce i colori a tempera e ne migliora l'adesione sulle superfici troppo assorbenti. Asciuga in poche ore e previene le screpolature. Aumenta la lucentezza e diminuisce il potere coprente.
I dipinti vengono protetti con la vernice lucida od opaca per tempera che asciuga in poche ore e non provoca cambiamenti di colore, ed è composta da resine sintetiche incolori, acquaragia. Rende l'opera resistente all'umidità e dona trasparenza agli strati opachi rendendo i colori più profondi. 
 Il Fiele di bue, sostanza sintetica sciolta in acqua, sgrassa i supporti per evitare formazione di macchie. Può essere utilizzato puro per uniformare la superficie del supporto ed impedisce che il supporto trasudi colore. Consente un'adesione migliore su supporti impermeabili. 
Per diluire i colori a tempera rendendoli più trasparenti e più elastici si usa la gomma arabica. Che inoltre previene le screpolature.
                                                                                  
Caterina Guttuso


martedì 1 marzo 2016

Acquerello

L' ACQUERELLO  

Il termine “acquerello” compare nel Settecento, ma fin dall’antichità, nei papiri per esempio, sono state utilizzate tecniche basate sullo stesso principio. Nel Medioevo venivano utilizzati pigmenti uniti a chiara d’uovo o gomma arabica soprattutto nelle miniature.
La carta ha svolto un ruolo importante nello sviluppo dell’acquerello.
 La Cina ha prodotto carta fin dai tempi antichi. Gli arabi hanno appreso i loro segreti nel corso dell’ottavo secolo. La carta è stata importata in Europa fino a quando non sono stati istituiti i primi mulini di fabbricazione della carta in Italia nel 1276.
Dal momento che la carta era considerata un bene di lusso, la tradizionale pittura ad acquerello occidentale è stata di lenta evoluzione. La maggiore disponibilità di carta dal XIV secolo ha consentito la possibilità del disegno come attività artistica. Così artisti come Leonardo da Vinci e Michelangelo hanno cominciato a sviluppare disegni come uno strumento di pratica e di registrazione delle informazioni. 

Albrecht Durer (tedesco, 1471-1528) è tradizionalmente considerato il primo maestro di acquerello perché le sue opere sono state come studio preliminare per altre opere. Nei secoli successivi molti artisti di come Peter Paul Rubens (fiammingo, 1577-1640), Anthony van Dyck (fiammingo, 1599-1641) e Jean Honore Fragonard (francese, 1732-1806) hanno continuato ad utilizzare acquerello come mezzo di disegno e di sviluppo di composizioni. La prima scuola nazionale di acquerellisti è sorta in Gran Bretagna. La tradizione è iniziata con disegni topografici ad acquerello che proliferavano nel tardo Seicento e primo Settecento. Questi rendering comprendevano l’identità visiva dei porti di mare così come il paesaggio circostante. 


                                                                                                                                                                                                                                                             Albret Durer

Nel 1768, la topografia influente fondò la Royal Academy che ha incoraggiato gli acquarellisti a sviluppare le applicazioni della tecnica. L'acquerellista di maggior  talento di questo periodo è stato Joseph MW Turner (inglese, 1775-1851). I suoi paesaggi contemplativi hanno influenzato enormemente decine di artisti nei decenni successivi.
 Lo sviluppo della tecnica dell’acquerello è andata di pari passo all'evoluzione ed al progresso della scuola britannica degli acquerellisti. Nel 1780, una società britannica ha iniziato la produzione di carta realizzata appositamente per acquarellisti trattata con particolari tecniche per evitare, con i lavaggi, di sprofondare nelle fibre della carta.
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Passaggi di tonalità 

Nell’acquerello la pennellata richiede una buona scioltezza della mano e deve essere determinata e precisa poiché i colori si asciugano rapidamente e tendono a mescolarsi tra loro creando effetti che, se non voluti, sono difficilmente correggibili. Non è possibile infatti effettuare correzioni con sovrapposizione del colore come per altre tecniche. Essa è una tecnica pittorica che prevede l’uso di pigmenti finemente macinati e mescolati con legante, di solito la gomma arabica e poi diluiti. Più acqua si usa più la carta influisce sui colori: il vermiglio, un rosso caldo, si trasforma gradualmente in un rosa fresco quanto più è diluito con acqua


Sovrapposizione di pigmenti


 Il supporto più usato per questa tecnica è la carta di 300g. quella con un’alta percentuale di cotone puro, oppure quella con gelatina naturale, in quanto questo materiale non si deforma eccessivamente al contatto con l’acqua, ma si può usare anche il cartone, la pergamena, la seta e addirittura il legno.
Carta di diversa grammatura

Normalmente il foglio viene preparato con un leggero disegno a matita. In seguito possono essere applicate tre tecniche fondamentali per eseguire un acquerello:
1. Velature sovrapposte: macchie di colore vengono via via sovrapposte le une alle altre in modo da ottenere profondità pittorica e per poter rappresentare la luce e le ombre.


2. Bagnato su bagnato: il colore viene steso sul foglio di carta bagnato in precedenza in modo che i colori si diffondano nel supporto.

3. Bagnato su asciutto: il colore viene steso sul foglio asciutto dopo essere stato disciolto nell’acqua.

Esistono inoltre alcune varianti alle tre tecniche principali come il Dry brush (pennello secco), il Lifting off (cancellatura) o il Dropping in color (sgocciolamento).



Panetti e tubetti di colori per acquerello
Pennelli morbidi e tondi per acquerellare

I particolari in bianco di un acquerello si possono ottenere adoperando il medium per mascheratura permanente, una cera liquida non asportabile, idrorepellente, studiata per mascherare aree specifiche del foglio, rendendole resistenti a l’acqua. Una volta asciutta, respinge i colori passati sulla zona trattata. Ottimo per lavori di dettaglio. Si applica il medium direttamente sulla carta e si lascia asciugare completamente prima di applicare mani successive.
                                                                                                               Caterina Guttuso